Si
dichiara nato nel 1938 anche se in realtà è del ‘32. Indossa occhiali da sole
cerchiati di rosso e ciondoli di ceramica over-size. Remo Buti è un pezzo
(importante) di storia del design italiano, ed è lui stesso un’opera di design.
Tra i più stimolanti e riconosciuti professori della facoltà di Architettura
di Firenze, attraverso una ricerca costante e silenziosa – fatta di
operazioni semplici, leggere e riconoscibili – ha rappresentato l’anima più
concettuale del movimento radicale fiorentino (Archizoom, Superstudio, Ufo,
9999, Zziggurat e Gianni Pettena). Tra i suoi lavori più noti, la serie Piatti
e Spille di architettura, la serie di disegni realizzati con
l’aerografo The City (1971), il progetto grafico e i gadget della Global
Tools (1973), la lampada Star’s prodotta da Targetti (1983) e la
collezione di borse Querelle (1978-1979). Ma anche numerosi progetti
d’interni e di allestimento, come la sistemazione della Rotonda del
Brunelleschi a Firenze e la sua casa, un vero e proprio museo del design
pensato come un cannocchiale sulla città.
Buti
nasce a Quinto Fiorentino, una frazione del comune di Firenze molto vicina alla
fabbrica della Richard Ginori dove, a eccezione della madre, aveva lavorato
tutta la famiglia. Ossessionato dalla numerazione, ha stimato che nel percorso
a piedi tra la casa e la fabbrica i suoi familiari hanno trascorso circa dodici
anni di vita. Da piccolo assapora la vita artigiana e la dimensione popolare
della provincia. I suoi primi giocattoli sono gli oggetti di ceramica
scartati dalla produzione, come le Mani di Gio Ponti che suo padre
realizzava, suo zio decorava e suo nonno cuoceva. E che poi sua madre,
minimalista autentica, buttava via.
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Facendo
autoproduzione, Buti inizia giovanissimo a realizzare gadget di ceramica, che
vende a clienti facoltosi anche su commissione dei grandi magazzini Harrods di
Londra. Si definisce il primo ‘vu cumprà’ delle spiagge di Livorno, città dove
ha vissuto e incontrato Elena Botteghi che sposa nel 1963, dopo aver promesso
al padre di lei di laurearsi. Per tener fede all’impegno abbandona i circoli di
biliardo che assiduamente frequenta bigiando la scuola, per diplomarsi
all’istituto serale e iscriversi alla facoltà di Architettura, dove incontra i
suoi maestri, Leonardo Ricci, Leonardo Savioli, ma anche Klaus Koenig, Italo
Gamberini e molti altri. Il suo sapere artigianale gli consente di distinguersi
nei corsi di Ricci e Savioli realizzando progetti e modelli per insediamenti a
grande scala. Sono gli anni infuocati della contestazione studentesca che
vedono dentro le aule della facoltà tutti gli esponenti dell’avanguardia
radicale.
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Si
laurea nel 1969 con un lavoro che sarà il cavallo di battaglia di tutta la sua
ricerca, un ‘non progetto’: espone alla commissione tutti i lavori e i modelli
svolti negli anni precedenti che aveva meticolosamente archiviato, tenuti
insieme da un originale racconto. La commissione si aspettava un progetto, e il
relatore Savioli a fatica riesce a fargli conferire la laurea giustificandolo
così: «Remino non aveva voglia di fare un progetto». Savioli lo chiama
come assistente e pochi anni dopo Buti riceve l’incarico di professore del
corso di Arredamento e successivamente di Architettura degli interni. Dedicherà
tutta la sua energia all’insegnamento, organizzando un corso antiaccademico e
radicale. Con l’aiuto di Stefano Giovannoni e Guido Venturini (che nel 1985
fondano lo studio King Kong) – ma anche di Massimo Mariani e dei numerosi
collaboratori che in circa vent’anni lo hanno affiancato – mette a punto una
struttura didattica unica e perfetta, che farà del suo corso di Architettura
degli interni un passaggio obbligato per la generazione di designer che si
forma negli anni Novanta.
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Nel
1986 Mario Bellini lo invita a esporre gli esiti del corso alla XVII Triennale
di Milano e nello stesso anno si costituisce il Movimento Bolidista, promosso
da sedici designer che gravitano intorno al corso e alla figura di Buti.
Prevalentemente incentrato sugli anni di didattica, il libro Varie-età edito
da Quodlibet e Didapress, scritto con Pino Brugellis e Matteo Zambelli,
rappresenta il primo volume che apre la strada alla riscoperta del maestro
fiorentino e del suo originale metodo d’insegnamento.
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La sedia del secolo. Interventi su oggetti di serie, progetto del corso 1998-1999.
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