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Museo Casa Ayora: il museo di sé stesso

22/04/2021 – Lo studio Trazia, di Carlos Pardo e Lucía Hernández, è l’autore del progetto Museo Casa Ayora di Almussafes, nella comunità autonoma di Valencia.
Un edificio a due piani, risalente al barocco, originariamente sede di un convento domenicano.
In seguito alla confisca divenne un’abitazione privata, la cui più nota abitante fu la signora Dolores Ayora Olcina (1878-1958), proveniente da una famiglia di commercianti di petrolio alla fine del XIX secolo, che con il “boom” della rivoluzione industriale, vide la sua fortuna arricchirsi. Il famoso Palazzo Ayora e gli omonimi giardini a Valencia appartenevano alla stessa famiglia.
 
L’obiettivo del progetto è stato quello di recuperare l’edificio e dargli una destinazione museale.
Sulla facciata posteriore è stato annesso un nuovo volume come nucleo di servizi.
 
Carlos Pardo e Lucía Hernández sono partiti dalla chiara premessa di lasciare che l’edificio dialogasse e ci raccontasse la sua storia; per far ciò hanno salvato ogni traccia attraverso un rigoroso lavoro di restauro che ci permette di apprezzare chiaramente le diverse “vite” che corrispondono alle diverse fasi storiche. L’edificio diventa così un museo di sé stesso.
 
Dopo il necessario risanamento strutturale, il team di architetti, archeologi e restauratori, ha lavorato sull’edificio in modo tale che ciascuno dei paramenti che lo compongono (pavimenti, soffitti e pareti) fosse studiato e progettato come indipendente dagli altri.
L’intento è stato quello di modificare il meno possibile la distribuzione interna dello spazio, concentrandosi sulla riabilitazione e valorizzazione dell’esistente.
 
Di particolare pregio, sono le carte da parati dipinte a mano tipiche dell’Art Déco. Oltre all’indubbio valore patrimoniale intrinseco, – sono, difatti, perfettamente conservate e non hanno subito alcuna modifica, cosa che si verifica in raramente – sono un esempio molto importante dell’adozione, nelle architetture domestiche rurali, delle nuove tendenze europee in termini di risorse decorative.
I pavimenti esistenti in cementine, in perfetto stato, formano con le carte da parati, un insieme di grande armonia cromatica.
 
Con l’intento di un rispetto assoluto, gli architetti utilizzano un linguaggio totalmente diverso per quegli elementi che non fanno parte dell’insieme esistente, trattandoli in modo neutro con materiali come il vetro, l’acciaio e il legno. In questo modo il visitatore può leggere l’edificio e capire cosa fa parte della sua storia e cos’è, invece, una realizzazione successiva.
 
Il nuovo modulo esterno è progettato in modo tale da occupare volumetricamente lo spazio precedentemente occupato dalla zona cucina che, per il suo stato fatiscente, era stato demolito.
 
Nel tentativo di creare un dialogo tra il nuovo volume e il vecchio edificio, si è deciso di trattare la nuova facciata con mattoni ceramici pieni, un materiale tradizionale che dialoga con il fienile esistente sul retro del cortile e che, con diverse orditure della muratura, stabilisce un gioco di luci e ombre che consente all’edificio di avere una lettura molto diversa durante il giorno e la notte.
 
È nel giardino, un vecchio orto sul retro, che i differenti trattamenti della pavimentazione compongono diversi spazi da vivere; argilla cotta, terra e pietra sono attraversati da un canale che irriga ciò che è progettato come una reinterpretazione del giardino valenciano, dove gli aranci e la vite non possono mancare.

Articolo pubblicato da archiportale.com

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