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Il coronavirus chiude anche le assemblee di condominio

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Tranne rarissimi casi, e sempre dietro responsabilità dell’amministratore, le assemblee di condominio sono bloccate su tutto il territorio italiano

di Saverio Fossati


(agefotostock / AGF)

2′ di lettura

Inutile girare intorno alla questione: tranne rarissimi casi, e sempre dietro responsabilità dell’amministratore, le assemblee di condominio sono bloccate su tutto il territorio italiano. Il Dpcm firmato il 4 marzo dal presidente del Consiglio dei ministri e dal ministro della Salute parla chiaro; tra le molte misure restrittive una riguarda, all’articolo 1, lettera b), anche le assemblee di condominio: «sono sospese le manifestazioni e gli eventi di qualsiasi natura, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro di cui all’allegato 1, lettera d)» e la disposizione richiamata recita: «mantenere in ogni contatto sociale una distanza interpersonale di almeno un metro».

Le distanze di sicurezza
È quindi evidente che un’assemblea di condominio rientra in quest’ambito e che assicurare le distanze necessarie vuol dire che intorno a ogni sedia occorre una “cintura sanitaria di almeno un metro, quindi uno spazio minimo di 1,5 metri quadrati per condomino (uno spazio di ½ metro quadrato per la sedia e intorno una distanza di 1 metro da ciascun lato). Per fare un esempio: in una delle sale normalmente usate per le assemblee molto grandi, di circa 100 metri quadrati, ci possono stare circa 30 persone. In una sala di 50 metri quadrati, meno della metà.

Le regole di buonsenso
Ma il problema non è tanto quello di rispettare le distanze lineari quanto di immaginare gli inevitabili contatti ravvicinati tra condòmini: basta usare il buonsenso per rendersi conto delle responsabilità cui incorrerebbe l’amministratore convocando a ogni costo l’assemblea durante la quale, per qualunque ragione, potesse verificarsi un contagio.

Il meno che possa accadere è che un condòmino (giustamente) timoroso si rifiuti di intervenire per poi impugnare una delibera. Il peggio, anche se è tutto da verificare, è che un contagiato possa chiamare in causa l’amministratore per l’incauta convocazione.

L’alternativa è pensare alle assemblee in videoconferenza , sempre che la tecnologia a disposizione di amministratore e condòmini le renda praticabili (anche se è meno complicato di quanto si immagini).

Articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore

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